“C” di Tom McCarthy: lo scrittore come dj e produttore (e il traduttore come enigmista)
di Anna Mioni
(già uscito su Senza Zucchero, blog di Del Vecchio editore)
Remixare i segnali: questo è l’intento da cui parte lo scrittore e artista d’avanguardia inglese Tom McCarthy per il suo terzo romanzo, “C”, nella cinquina del Booker Prize 2010 e pubblicato nel 2013 da Bompiani, dopo “Déja vu” e “Uomini nello spazio” usciti da ISBN edizioni. Si tratta di un romanzo di impianto molto articolato, zeppo di richiami. “Volevo che C funzionasse proprio in questo modo”, spiega McCarthy: “il lettore può scoprire riferimenti audio-video molto approfonditi, ma anche leggere il mio libro come una semplice storia di avventura. Volevo riconciliare entrambe queste possibilità di lettura, e anche molte altre”1. Lo stesso effetto sortito da esperimenti come i cartoni animati dei Simpson, che i bambini possono fruire in modo semplice, e nei quali invece gli adulti colgono lunghe ramificazioni di citazioni culturali più o meno pop.
Qui non proprio di pop si tratta: McCarthy è un veterano delle provocazioni ai confini tra letteratura e arte (alla fine degli anni Novanta ha fondato la Società Necronautica Internazionale, per creare un linguaggio di avanguardia sulla traccia della morte); tra i riferimenti nel sottotesto di “C” troviamo influenze di teorie letterarie che vanno da Barthes a Derrida, a Joyce, a Blanchot, ai ricorsi di Vico, al caso clinico dell’Uomo dei lupi di Freud, che possono cogliere i suoi lettori più intellettuali (tra i quali si annovera Zadie Smith, sostenitrice della prima ora).
McCarthy costruisce il libro come un romanzo storico, con gli stessi schemi narrativi, rinunciando deliberatamente a dare una profondità psicologica ai personaggi e appiattendoli su una dimensione bidimensionale, come i buoni e i cattivi dei fumetti a lui tanto cari (non dimentichiamo che è anche autore di un saggio su TinTin). Ma la vicenda è infarcita di particolari dettagliatissimi, frutto di una ricerca durata quattro lunghi anni.
Il romanzo è ambientato tra il 1898 e il 1922, “nella fase decisiva che ha visto l’esplosione nella coscienza pubblica della radio come strumento di comunicazione. E questo ha avuto un impatto notevolissimo sulla produzione artistica (poetica, letteraria, figurativa), da quel tempo in avanti”, spiega sempre l’autore. È un libro costruito a più strati «e allo stesso tempo è un libro che dissotterra molto modernismo, da Marinetti a Ezra Pound a T.S. Eliot. Non a caso finisce nel 1922: l’anno dell’Ulisse, della Terra desolata e di Le onde di Virginia Woolf»2.
Il protagonista Serge Carrefax e sua sorella Sophie crescono in una vasta proprietà nell’Inghilterra del sud dove la madre, francese ugonotta e sordomuta, alleva bachi da seta e tesse preziosi arazzi, e il padre dirige una scuola per sordi di tipo “oralista” (gli insegna a parlare con la propria voce, e non con la lingua dei segni); i due fratelli sono immersi nella tecnologia e nelle scienze naturali, circondati da trasmettitori (il padre è l’inventore di un proto-telegrafo e conserva vari pezzi di archeologia radiofonica), e con un laboratorio intero a disposizione; Serge eredita la passione del padre per la comunicazione senza fili, Sophie è affascinata da botanica ed entomologia, ma si suicida a 17 anni dopo un rapporto sessuale con il crittografo Widsun, amico e coetaneo del padre e padrino di Serge. Sophie viene sepolta in una cripta nel giardino della villa; Serge, traumatizzato, si ritira insieme al precettore in un sanatorio cecoslovacco per liberarsi dalla “bile nera” che gli avvelena il sangue. Poi, grazie al padrino Widsun, Serge si arruola come operatore radio sugli aerei da ricognizione inglesi che volano sulla Francia nella Prima Guerra Mondiale: un’esperienza che ha marcate reminiscenze futuriste (intercalate da numerosi estratti di poesie e canzoni, che Serge usa come ritmo quando deve sparare con il mitragliatore del suo aereo); già lì scopre l’eroina e la cocaina, che continuerà a usare a Londra, dove studia architettura con poco profitto e si lega a un’attrice di varietà seguace di un falso spiritista che sarà proprio lui a smascherare durante una seduta spiritica pubblica; nel fatidico 1922 Serge per conto dell’imperatore si recherà in Egitto a organizzare la creazione di un sistema telegrafico che precorre Internet; in un sopralluogo sul campo tra gli scavi archeologici, nella galleria sotterranea di una tomba, mentre fa l’amore con una giovane archeologa, verrà morso dall’insetto che poi causerà la sua morte per un’infezione.
La C del titolo (che sta per il simbolo del Carbonio nella tavola periodica) si ripete anche nei titoli dei capitoli, e nel fatto che il protagonista Serge è nato con la camicia; rimanda al suo cognome, Carrefax, ma anche agli archeologi esploratori dell’antico Egitto (Lord Carnarvon e Howard Carter), alla cocaina, al cianuro con cui si suicida la sorella, alla cripta della tomba di Sophie (e poi a quelle dei faraoni egizi), al CC che nella corrispondenza sta per «copia carbone». La C, che in inglese si pronuncia “si” (/si:/), nell’originale si aggancia a un’altra serie di richiami in “si” (come per esempio “sister” che significa sorella, ma è anche un vecchio termine gergale americano per indicare l’eroina che McCarthy usa volutamente), che non sempre si sono potute riprodurre in italiano, per non stravolgerne il senso.
L’altra catena sonora che sta al fondo di tutto il libro è quella di insect > ink set > incest > inset > in sections, che ho reso in italiano, rispettivamente, con insetto > scatola di inchiostri > incesto > inserto/inserito > in sezioni. Sono tutti nomi di oggetti e situazioni chiave del romanzo, che poi ritorneranno intersecati e amplificati nell’ultima scena, la morte del protagonista, che si svolge durante il sogno febbrile di un matrimonio incestuoso con la sorella, tra gli insetti, sullo sfondo di una serie di interferenze radiofoniche; e infatti secondo Tom McCarthy il ruolo che spetta allo scrittore oggi è simile a quello della radio: «Non essere la persona che origina il segnale, ma quella che lo riceve e lo remixa». Lo scrittore come dj e produttore, quindi.
“In quell’interferenza giace il senso, ma l’interferenza è per sua natura incomprensibile, impossibile da configurare in chiave semantica: da questo paradosso nasce la tremenda scena finale di C, dove la morte prende appunto la forma di una assordante interferenza che tutto cancella e dissolve. E tuttavia, poiché il paradosso può essere ancora una volta ribaltato, è in quel rumore (…) che si trova l’unico senso possibile”3.
Come accostarsi alla traduzione di un microcosmo così denso di informazioni? Il compito più arduo non è stata tanto la traduzione in sé (è il terzo libro di Tom McCarthy che affronto, ormai conosco bene i suoi stilemi e in caso di difficoltà abbiamo un dialogo costruttivo e proficuo), quanto piuttosto le ore dedicate a decrittare la parte dei riferimenti scientifici, sui quali il libro non riportava alcuna nota. Ho letto pagine e pagine di wikipedia e siti specializzati in inglese e poi in italiano. In quei mesi sono diventata un’esperta in radiotelegrafia degli esordi, notazione scacchistica arcaica, egittologia, chimica, entomologia, botanica, aerei, armi e uniformi della prima guerra mondiale… Sono stata molto grata di avere frequentato il liceo scientifico a suo tempo; e dell’esistenza di quella miniera di informazioni che è internet; e di avere un compagno competente in questioni tecnologiche e militari (comprese le miriadi di sfumature della parola “gun”, che per una donna è una pistola, e poco altro; e invece in certi casi può essere persino una postazione di artiglieria). In seguito, quando ho incontrato l’autore di persona, gli ho esposto il mio suggerimento di preparare una guida per i traduttori con un compendio delle sue ricerche per il libro.
Per quanto riguarda la ciclicità dei riferimenti, e i ritorni all’interno della scrittura di McCarthy, ho adottato la strategia di affrontarli in modo enigmistico, con le antenne pronte a cogliere gli echi (e il dialogo con l’autore, ovviamente, è stato d’aiuto; come anche gli articoli in inglese già disponibile sul romanzo). Certo, non so come avrei potuto tradurre un libro simile agli inizi della mia carriera, quando l’internet veloce non esisteva.
“C” è una sfida molto interessante per il mondo letterario italiano, spesso troppo diffidente nei riguardi del sapere scientifico, al punto da snobbarlo e guardarlo quasi con sospetto, senza usarlo come una chiave per interpretare il nostro mondo. Non escludo il motivo della fortuna limitata di questo libro in Italia risieda nei retaggi crociani della nostra cultura umanistica, dove le lettere e le scienze continuano a restare antitetiche. Eppure, i compagni di Serge Carrefax davanti al solco lasciato da un commilitone morto cadendo da un aereo commentano: «Tutti i suoi ricordi, e tutto quello che ha mai pensato o fatto, ridotti a un mucchio di sostanze chimiche». E Serge, il protagonista, risponde: «Perché no? È quello che siamo, dopo tutto».