Il Manifesto, recensione di Noi non dormiamo di Kathrin Röggla, ISBN 2005
Kathrin Röggla, Noi non dormiamo
di Anna Mioni
Già da qualche mese ISBN edizioni, il marchio del gruppo Il Saggiatore attento alla modernità e alle culture giovanili, ha pubblicato Noi non dormiamo : L’insonnia dei precari di successo (traduzione di Cristina Vezzaro, revisione di Laura Ghirini, 188 p., 13 €) di Kathrin Röggla. L’autrice, una trentacinquenne austriaca trapiantata a Berlino, è drammaturga radiofonica e teatrale, giornalista e performer e vincitrice di numerosi premi letterari. Tra le sue opere ancora inedite in Italia c’è really ground zero, un libro di reportage da New York il mese dopo l’11 settembre.
Per sua stessa dichiarazione, la Röggla discende dalla tradizione di avanguardia austriaca del dopoguerra, dalle riflessioni sul modernismo e il postmodernismo in atto in Germania a metà del Novecento, e dalla musica techno. Tutte le sue opere sono di stampo fortemente sperimentale e l’intento è quello di sottoporre la lingua e le esperienze della Berlino contemporanea a una critica giocosa, spesso parodistica.
Per questo romanzo che è anche un documento e una potenziale pièce teatrale ha intervistato decine di lavoratori del terziario avanzato, condensando i risultati in un affresco corale affidato alle voci di sei personaggi (una key account manager, una stagista, una redattrice online, un it-supporter, un senior associate, un partner) impegnati in professioni con quei paradossali nomi inglesi modaioli e svuotati di significato, che non sfigurerebbero tra quelli che si trovano in internet nei “generatori di qualifiche assurde per la web economy”.
Evidentemente anche nella cultura aziendale tedesca prevale questa equivalenza tra anglicizzazione e modernità, infatti i dialoghi dei protagonisti sono punteggiati di parole come life-style, first-class, headhunter, e simili.
In trentadue capitoli di scrittura tutta minuscola si intrecciano i punti di vista degli intervistati, presi singolarmente o giustapposti, sui vari aspetti problematici del lavoro moderno, con titoli icastici come: “fallimenti”, “raccontare favole”, “finire di parlare”, “inquietudine”, “evitare il dolore”.
Il pretesto narrativo che fa da cornice è una fiera di settore, dove tutti i protagonisti sono presenti e interagiscono tra loro. Dalla loro viva voce sentiamo quindi tutta una gamma di esperienze e di sensazioni.
L’angoscia di non riuscire a entrare nel mondo del lavoro: la stagista sottolinea che per “infilarsi” bisogna avere entrature, oppure “genitori che ti procurano stage retribuiti e posti di volontariato”; oggi come oggi bisogna avere soldi anche per pagarsi uno stage. La ragazza dichiara di essere disposta a tutto pur di trovare un lavoro: “Cercare lavoro è un lavoro a tempo pieno”.
La cessione totale del tempo libero e della vita privata all’azienda: il senior associate racconta di giornate lavorative di 14-16 ore, di gente che usa l’aereo come se fosse un autobus e passa le settimane in anonimi residence senza intrattenere rapporti amicali. Dormire non sta bene, non è di buon gusto, si regala anche il sonno all’azienda. A chi esce dal lavoro alle 18 si chiede scherzosamente se si è preso mezza giornata di permesso. E la key account non ha una vita privata al di fuori del suo contesto lavorativo perché è “faticoso cambiare aria, imbarcarsi in altri contatti sociali che si svolgono in tutt’altro mondo”.
La socializzazione coatta per intrattenere contatti di lavoro: le innumerevoli “serie di vinelli” che si cominciano a bere già dal pomeriggio, e che per alcuni si trasformano in alcolismo.
Le leggi di mercato, i consulenti che sfoltiscono personale e chiudono ditte in perdita; i funzionari costretti a sfoltire i ranghi, e a dividere tra persone a (“i nostri top performer, quelli che vogliamo tenere in ogni caso), b (“se se ne vanno non crolla tutto), e c (“di questa gente non sappiamo cosa farcene”); per questi ultimi ovviamente scatta il mobbing, sperando in un licenziamento spontaneo, che altrimenti viene imposto dall’alto.
La vita alienante di una fiera, il cibo scadente, il caldo, il rumore, il pervasivo senso di inutilità frenetica di chi vi è coinvolto.
Le persone che, in assenza dello stress lavorativo, si generano altre situazioni di stress perché ormai sono drogate da adrenalina.
La falsità endemica dei rapporti lavorativi: la redattrice online si lamenta che “la sua sincerità lascia di stucco: produce sincerità dove prima non se n’era mai vista, all’improvviso piazza sincerità in una stanza, se ne sta lì come un mobile che non può essere spostato, e nessuno la vuole più, la sua sincerità”.
La rapida esclusione di chi non ce la fa e cede psicologicamente o fisicamente, quando addirittura non si suicida.
Insomma, un affresco completo sui lavoratori del terziario all’inizio di questo millennio, chiaramente enfatizzati ed estremizzati nei “personaggi-tipo” creati dall’autrice, che riassumono in sé le caratteristiche di tutta una categoria.
Tutto questo narrato con piglio incalzante, in una lingua moderna e asettica e crudele, non certo consolante o facile, che sortisce l’effetto di un pugno nello stomaco. Viviamo proprio in un mondo terribile e la Röggla con questo libro apre gli occhi anche a chi non vuole vedere. È bene leggerlo e fortificarsi per resistere al disastro della situazione attuale del mondo del lavoro; Noi non dormiamo è un ottimo strumento per riflettere sull’argomento, anche se chi vive ritmi lavorativi del genere sulla propria pelle riuscirà difficilmente a ritagliarsi il tempo necessario per leggere un libro, o anche solo per pensare, come suggeriscono molte delle testimonianze qui incluse. Sarebbe interessante vederlo adattato da una compagnia teatrale italiana che lo mettesse in scena in tutta la sua polifonicità. Magari davanti ai vertici di qualche azienda del terziario avanzato, perché tocchino con mano il risultato devastante delle loro strategie.