Elliott Smith, genio triste dalla morte misteriosa.
Andrea Laffranchi
Corriere della Sera, 24 aprile 2005 Nuova biografia sul cantante texano
Uno fuori posto. Anzi, uno che non si sentiva mai a posto. Così era Elliott Smith, cantautore geniale scomparso in circostanze misteriose ( omicidio o suicidio?) il 21 ottobre 2003, a 34 anni. Due episodi – entrambi raccolti in Elliott Smith e il grande nulla ( Arcana, 269 pag) di Benjamin Nugent, biografia nelle librerie in questi giorni – raccontano bene il suo disagio nei confronti della vita. Il primo risale al 1994. Elliott si fa tatuare su un braccio il toro Ferdinando, bestione pacifico preso da un libro per bambini che alle corride preferisce i fiori: un fallito agli occhi della gente perché, spiegò Smith, « fuori dal sistema » . Il secondo, siamo nel ‘ 98, ci porta sul palco d e g l i Oscar. Elliott canta la sua « Miss Misery » , candidata come miglior canzone originale: nonostante il completo bianco, la camicia e la cravatta rubino, le scarpe Prada, la sua espressione impacciata fa capire che al successo e ai lustrini preferirebbe altro. Queste due pillole parlano di Elliott anche a chi non ne conosce le canzoni. Piccoli gioielli del cantautorato dove la dolcezza delle melodie si incrocia con storie piene di malinconia. Il dolore dei personaggi è il dolore di Smith, le loro sfighe sono le sue, le loro paure le sue paure. Un mondo raccontato in obliquo. Come in obliquo è la vita del protagonista come la racconta, perdendosi spesso in testimonianze irrilevanti, Nugent. A partire dalla storia sul suo nome. Il senso di inadeguatezza alla vita di Steven Paul Smith, nato il 6 agosto 1969 a Omaha, e vissuto fra il Texas ( con la mamma) e Portland ( con papà) si manifesta al college: in quegli anni decide di farsi chiamare Elliott. Steve gli suonava troppo «macho» e Steven «secchione» così, forse su idea della ex che prende il cognome di un ex, forse ispirato dal nome di una strada, opta per Elliott. E questa attitudine ha marchiato la sua vita. Anche quella professionale. Che parte con gli Heatmiser, una band che si fa conoscere nel circuito grunge rock di Portland e che arriva ad avere anche un contratto discografico. Ma non è il genere che Smith sente nelle sue corde. Parallelamente alla carriera nel gruppo, incide canzoni fragili nella cantina di casa. Da quelle cassette esce il suo primo cd solista, «Roman Candle», datato 1994. L’ ombra più pesante della sua vita , quella della droga, inizia a proiettarsi. I testi del secondo disco, «Elliott Smith» (’95), sono pieni di buchi, aghi, spacciatori e altre metafore: la gente pensa che Smith sia un eroinomane. Non ancora. La sua, raccontano gli amici, è una grande paura, una tentazione che emerge da profondi scavi interiori. E’ il successo discografico a trasformare tutto. Dopo il successo di nicchia di «Either/ Or» (’97) arrivano gli Oscar, un contratto più ricco con la Dreamworks per «X0» e «Figure 8» fanno di Smith una figura di riferimento nel cantautorato Usa. La pressione dei fan, i tour massacranti, lo staff che lavorano con lui finiscono per isolarlo dagli amici. L’ alcol, compagno degli anni precedenti, non basta più. Arrivano eroina, crack, pillole e cliniche. Il nuovo disco, quello che avrebbe dovuto consacrarlo, fatica a uscire. Smith lo fa e lo disfa. Vedrà la luce solo dopo la sua morte. Provocata da due coltellate al petto sulle quali la polizia ancora indaga.
Ad memoriam di Elliott Smith
Esce in italiano la biografia di Elliott Smith, cantautore americano tragicamente scomparso e noto al grande pubblico per aver musicato il film di Gus Van Sant “Will Hunting – Genio ribelle”.
di Giancarlo Susanna Railibro n 67
È molto probabile che il nome di Elliott Smith sia sconosciuto alla gran parte del pubblico italiano, anche quello più abituato a frequentare i negozi di dischi. Forse però, in un angolo della memoria qualcuno ritroverà la musica malinconica e crepuscolare che accompagnava le immagini più belle di un film di Gus Van Sant, Good Will Hunting – Genio ribelle. Quelle canzoni – una delle quali, “Miss Misery”, fruttò al suo autore una nomination all’Oscar nel 1998 – erano opera di Elliott Smith, il cantautore americano più importante della sua generazione.
A Smith, artista di culto scomparso in circostanze ancora misteriose (è molto probabile un suicidio) nell’ottobre del 2003, ha dedicato una biografia il giornalista Benjamin Nugent. Pubblicato negli Stati Uniti nel 2004, Elliott Smith and the Big Nothing esce tempestivamente anche da noi nella traduzione di Anna Mioni, a testimoniare che non è sempre la fama a guidare le scelte dei nostri editori.
Va detto subito che chi voglia accostarsi a quanto Elliott Smith ha realizzato nel breve arco di tempo che va dal 1994 all’anno della sua morte – musica e versi che più di altri raccontano l’America di oggi – dovrebbe prima di tutto ascoltare i suoi dischi e che una biografia, sia pure scritta da Nugent nel modo più completo possibile, non basta a darci un’idea dell’influenza esercitata da Smith sulla musica rock di questi anni.
Dicevamo che Nugent ha lavorato come meglio poteva e questo significa che, come lui stesso dichiara nell’Epilogo, non ha avuto accesso a tutte le fonti, soprattutto a quelle più vicine all’oggetto della sua ricerca: «Molti amici di Smith che avrebbero potuto difenderlo più lealmente sono assenti da questo libro perché non rilasciano dichiarazione su di lui alla stampa, e non hanno fatto eccezione per me … Lo stesso vale per la famiglia di Smith». L’autore ha fatto quindi ricorso a tutto ciò che era possibile reperire su Elliott Smith e ha intervistato le persone disposte a parlare di lui. Il risultato è un libro molto documentato e a tratti – quando Nugent cerca di interpretare la vita di Smith attraverso le liriche delle sue canzoni – necessariamente arbitrario.
Ci vorrà ancora qualche tempo – nonché un biografo che riesca a vincere il riserbo dei familiari e degli amici più stretti – per avere un quadro più ampio e completo dell’esistenza di questo artista tormentato e geniale. Nel frattempo la bellezza dei suoi dischi – vi raccomandiamo almeno Either/Or, un capolavoro assoluto della canzone d’autore d’oltreoceano – diventerà sempre più evidente e la sua popolarità crescerà come sempre accade per i poeti e i musicisti che muoiono giovani. Ora come ora Elliott Smith e il grande nulla è con una manciata di splendidi album – in appendice al libro c’è un’accurata discografia compilata da Anna Mioni – l’unica chiave per entrare nel suo mondo.
Benjamin Nugent Elliott Smith e il grande nulla (Arcana)
C’è un ragazzo che non si ritrova in se stesso. Non si ritrova nei genitori che ha avuto e nei luoghi dove è abitato. Non si ritrova neanche nel gruppo che ha cominciato a farlo conoscere come musicista. Elliott Smith non si trovava proprio in questo mondo. Steven (il suo vero nome) era un ragazzo che molti inquadrerebbero come ‘difficile’, e forse lo era. Ma era anche molto altro. Era uno che faceva ridere. Riservato sì, ma sempre di compagnia. Leggeva e suonava. Suonava, soprattutto, e come suonava. Gli amici lo descrivono come un ragazzo un po’ riservato, ma sul quale si poteva sempre contare, che in qualsiasi momento era a disposizione di chiunque avesse un problema e che una volta raggiunta la (per niente agognata) fama ha cominciato a crollare. Interviste di riviste specializzate, racconti di amici, ex ragazze e soprattutto la sua musica, sono le fondamenta principale su cui si fonda la prima biografia, ‘Elliott Smith e il grande nulla’ scritta da Benjamin Nugent (Arcana, 268, € 17,50, trad. di Anna Mioni; corredata da tutta la discografia e non solo di Smith) sul cantautore statunitense che il 21 ottobre del 2003, a soli 34 anni si è tolto la vita. Dall’infanzia difficile passata con un patrigno col quale i rapporti erano molto tesi, al trasferimento a Portland, dal padre; dai primi passi musicali all’università fino agli Heatmiser il gruppo grunge di cui faceva parte agli inizi dei ’90, per arrivare poi alla carriera solista e alla nomination all’Oscar per la colonna sonora del film di Gus Van Sant ‘Will Hunting – genio ribelle’ (Oscar perso per mano della Celine Dion del Titanic). Un excursus nella vita di un cantautore che ha scritto canzoni stupende (‘Pitseleh’, ‘Roman Candle’, ‘Ballad of big nothing’, ‘St. ideas heaven’, ‘Pretty (ugly before) e che si è ritrovato improvvisamente catapultato nel mondo delle star, dei grandi pubblici, delle groupie, ma che avrebbe voluto solo continuare a scrivere canzoni per sé e gli amici. Che avrebbe pagato per non raggiungere quella vetta dalla quale è inesorabilmente precipitato, spinto anche dalla depressione (‘I’m not half what i wish i was’ cantava) e dalle droghe che hanno caratterizzato l’ultima parte della sua breve vita. Di un ragazzo, insomma, che ‘era diventato un faro illuminante in un Grande Nulla, che era la mostruosità luccicante della musica da discoteca e del metal goliardico che imperversavano nelle classifiche’. Francesco Raiola, da Freak Out