A Est della speranza
di Tiziana Lo Porto
Donna di Repubblica, 13.5.2005
Josip Novakovich, nato e vissuto in Croazia fino ai vent’anni, lasciato l’Est non ha mai smesso di scrivere in inglese. Ed è in inglese che a Cincinnati, dove abita e oggi insegna all’università, ha scritto il suo romanzo d’esordio, La vita fuori tempo di Ivan Dolinar. Perché è partito dalla Croazia? All’epoca era Iugoslavia. Sono andato via perché ero innamorato della lingua inglese, e volevo vedere l’Occidente. In quegli anni molti di noi che vivevamo il socialismo dell’Est avevamo l’impressione di perderci tutto il nuovo che poteva succedere solo in Occidente. Ora che vive in America, che cosa non smette di mancarle? Le strade, camminare tra gente di tutte le età… Di tanto in tanto mi manca il burek [sfoglia ripiena di formaggio di capra, ndr] e flirtare con le donne… In America la gente non flirta molto. All’inizio del suo romanzo, Ivan scrive una lettera a Tito in cui gli domanda, insieme al pane quotidiano, palloni da calcio di cuoio. Com’era il calcio nella Iugoslavia di Tito? Era lo sport più importante. Ed è stranissimo che Serbia e Croazia siano diventate entrambe squadre migliori di quanto lo sia mai stata la Iugoslavia… Anche se sono state sempre frutto della stessa vecchia severa scuola di calcio. Quando vivevo in Iugoslavia seguivo le partite alla radio tutte le domeniche e tifavo per l’Hajduk Spalato. E adesso tifa per la nazionale croata? Non pensavo che avrei mai tifato per la squadra nazionale croata. Prima, in nazionale, tifavo per l’Olanda, ma nell’era di Suker e Boban ho seguito il calcio croato appassionatamente. La vita fuori tempo di Ivan Dolinar è pieno di gente che crede in qualcosa. Lei in che cosa crede? Nell’amicizia e nell’amore dei genitori per i figli. In Dio ci crede? A distanza sì… ma non come ti insegnano nei libri illustrati che avevo da bambino. Ho avuto un’educazione battista e per anni ho letto la Bibbia una volta all’anno. La mia fede di adesso è astratta, filosofica, tende al misticismo… Ma non sono un praticante. In Chiesa non ci vado. E nel Papa, ci crede? Vuol dire nel nuovo Papa? Be’, per credere in lui devi essere cattolico. I protestanti mi hanno indottrinato a non credere a nessun essere umano, solo in Dio. Il giovane Ivan Dolinar è triste perché la bellezza femminile lo distrae. Una cosa del genere l’ha scritta Bob Dylan da giovane, definendo la bellezza come un qualcosa che quando la incontri ti spiazza. È questo per lei la bellezza? Sì, la bellezza è un istante di nostalgia che nobilita. Quando vedo qualcosa di bello, capisco cos’è che mi manca. E non parlo solo della bellezza femminile. Negli anni ’90 Emir Kusturica ha cercato di dare una lettura di quello che accadeva nella ex-Iugoslavia, suscitando polemiche. Cosa pensa di lui? Kusturica è un assurdista e ho capito quello che ha cercato di fare mentre vivevo a Belgrado e il regime commetteva atrocità. In parte lui è un prodotto di quella vecchia Iugoslavia che amava, e credo ci abbia messo un po’ a capire che non esisteva più nessuna Iugoslavia.
Il tempo è magia nera
di Antiniska Pozzi da Hideout
Ivan bambino, Ivan ragazzo, Ivan prigioniero, Ivan soldato, Ivan padre di famiglia, Ivan fantasma: un’intera vita raccontata nella sua in-completezza. Croazia, 1948: iniziano qui sia il racconto che la vita del protagonista, e da subito le vicende personali di Ivan s’intrecciano indissolubilmente con gli accadimenti del XX secolo, in un legame misterioso che ripropone l’interrogativo eternamente irrisolto sui rapporti tra individuo e Storia. Ivan Dolinar cresce nella Jugoslavia di Tito, procedendo a tentoni in una società in cui sembra che tutti sappiano quale dev’essere il proprio posto. Fin dalle prime righe la narrazione è ricca di episodi-simbolo dell’inadeguatezza del protagonista (che è poi quella di ogni essere umano di fronte alla propria esistenza): il romanzo si configura come una serie di istantanee, vividissime e di un’ironia caustica, tenute insieme dal soggetto principale, ma anche abitate da una galleria di personaggi indimenticabili, uno su tutti lo scultore Marko Kovacevic, cinico e disilluso portatore di una concezione in cui «Dio non ci farà bruciare all’inferno come le rane che gli italiani cucinano ai ferri. Dio non è un cuoco italiano. Non esiste l’inferno. E non esiste nemmeno il paradiso». Ivan è perennemente in balia degli eventi e dei cambiamenti sociali: dagli anni del comunismo alla guerra civile, Novakovich letteralmente disegna per noi il percorso formativo del protagonista, dai tentati studi di medicina e filosofia all’incontro col dittatore Tito e Indira Gandhi in un campo di lavoro, regalandoci immagini memorabili per la loro efficacia metaforica. E ancora, le pagine della guerra, l’incapacità del protagonista di capire su che fronte combattere e la difficoltà di uccidere per la prima volta un altro essere umano: ma, del resto, «non puoi essere in guerra e non uccidere, è come lavorare in un bordello e restare vergine». Tutto è raccontato con uno stile ibrido che alterna momenti di vera poesia del quotidiano, riflessione filosofica e toni cronachistici talora tendenti al triviale, uno stile che rispecchia appieno gli elementi della vita del protagonista, della Vita in generale. Qua e là, mentre gli anni scorrono e il mondo si trasforma, possiamo udire i pensieri di Ivan, le sue piccole prese di coscienza, mai definitive e sempre cariche di stupore: «il tempo è magia nera… prosciuga i tessuti da sotto la pelle e li trascina fuori dal corpo», commenta osservando il volto decadente di Marko, che un tempo gli era parso durevole come le lapidi che egli scolpiva. «Abbiamo tutti personalità multiple; una di noi è il passato, l’altra è il futuro, e non ne esiste una presente. In questo momento siamo vuoti, siamo spazi in cui il passato e il futuro discordano». A suo modo uno sguardo puro, riportato dall’autore senza tradirlo, evidenziato da un’abilissima ed efficace ironia. Stupefacente il finale. Che differenza c’è tra un fantasma e un’anima? L’autore Josip Novakovich (1956) emigra dalla Croazia negli USA a vent’anni. Attualmente, insegna scrittura all’Università di Cincinnati. Vincitore di numerosi premi letterari, tra cui The Book Award e Guggenheim Fellowship. Ha scritto una raccolta di saggi dal titolo Apricots from Chernobyl e un romanzo breve, Yolk; numerosi suoi racconti sono inoltre stati pubblicati su riviste quali Los Angeles Times e New York Times.