L’indice dei libri del mese Gian Paolo Serino
Lo strillo di copertina è di quelli urlati: ‘Diario di un inconcludente è il manifesto di un giovane Holden dei nostri tempi’. Piuttosto allarmati dall’inquietante paragone si sorvegliano le prime pagine (che stentano a decollare) per poi ritrovarsi immersi più o meno a capofitto nella piacevolezza della lettura. La storia neanche a dirlo è solo (e per fortuna) un lontano ricalco dell”eroe’ di Salinger: li accomuna una certa ironia di scrittura ma nulla di più. Se c’è un debito di epigonalità nel Diario di Anastas giovanissimo esponente della nuova narrativa americana è di rendere scorrevole una storia che vanta una tradizione secolare: quella del ‘preferirei di no’ che dal Bartleby di Melville sino alle ultime avanguardie a stelle e strisce è una delle costanti della letteratura statunitense. Anastas ha infatti il merito di rendere digeribile il diniego senza però cadere come tanti suoi coetanei nel premasticato: nel suo libro si ride e ci si commuove ma senza essere imboccati da sentimenti preconfezionati. Certo la trama sa molto di costruito ma il risultato è più che buono perché l’autore riesce a toccare le corde della vita facendole vibrare senza pizzicarle: il suo romanzo gira sul piatto della narrazione senza suonare a vuoto e il rumore che sentiamo leggendolo più che al vuoto pneumatico alla Easton Ellis ci fa pensare al ‘rumore bianco’ del silenzio. Silenzio di una generazione – quella nata sul finire degli anni sessanta – che ha ereditato tutte le disillusioni di un american dream miseramente inseguito da genitori ‘artisti dell’evasione mentale’. Di fronte a questo trip – drammatico più che lisergico – non resta che l’inconcludenza non resta che essere anime incompiute e teppisti contro l’eccellenza. Non resta che rivendicare il diritto di fallire in una società che solo ai vincenti sembra riservare… un posto al sole.
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Quel gemello che arrivava sempre secondo
Il prototipo del perdente nel protagonista del «Diario di un inconcludente» di Benjamin Anastas
Livia Manera – Il Corriere
«Risparmiate la vostra compassione per qualcuno che ne ha davvero bisogno, io sono già abbastanza impegnato a cercare di essere il peggiore nemico di me stesso», avvisa il protagonista di Diario di un inconcludente . William è il maggiore di due gemelli monozigoti nati a Cambridge, Massachusetts, e l’esser venuto al mondo sette minuti prima del fratello Clive è l’ultima cosa in cui arriverà primo nella vita. Dal fallimentare esordio al seno della mamma fino al matrimonio beffa a New York con una cameriera svedese bisognosa di permesso di soggiorno, la vita di William, raccontata dal giovane Anastas con raro garbo, intelligenza e senso dell’umorismo, sarà la parabola di una appassionata e coerente opposizione alla cultura del successo. Clive andrà ad Harvard e William dovrà accontentarsi di un college con un clima da Siberia e un fiume che puzza. Clive vivrà una storia d’amore con la desiderabilissima Faith e William dovrà farsi strapazzare il cuore da Natalie, che ha un debole per altri ragazzi. Precoce quanto suo fratello – e forse più intelligente – William sembra vivere solo per deludere le aspettative del prossimo. Costruito come un brano musicale con molte variazioni intorno un’idea unica, il Diario di Benjamin Anastas diventa l’ironico monologo di un sopravvissuto alle mode ideologiche degli anni 60 e alla tortura di due genitori stupidamente intelligenti che incoraggiano la masturbazione, purché praticata «in modo serio e responsabile». A lui, poveretto, William detto Guillaume o Guillermo secondo che in casa vada di moda il Maggio francese o la Rivoluzione messicana, non resta che diventare un anti Pornoy con un guanto da baseball infilato tra le gambe per prevenire onanismi notturni. E godersi, dalla splendida distanza della propria inconcludenza, «la bellezza intrinseca di tutte le cose che mi sono perso».
Fratelli, figli e nipoti del giovane Holden
di Ruggero Bianchi da TuttoLibri della Stampa, 26/10/2002 QUAL è la differenza tra un giovane «sbagliato» e un giovane «inconcludente»? Lo spiegano, in uscita pressocché simultanea in traduzione italiana, Willy Russell con Il ragazzo sbagliato e Benjamin Anastas con Diario di un inconcludente. Il primo è un inglese nato nei dintorni di Liverpool; il secondo un americano di Brooklyn che negli ultimi anni ha fatto del nostro paese (come molti suoi conterranei, non solo di ultima generazione) una sorta di sua seconda patria. Più che il luogo d´origine, conta tuttavia la data di nascita: Willy Russell ha visto la luce nel 1947, cioè una ventina d´anni prima della protesta studentesca e del cosiddetto ´68; mentre Anastas l´ha vista nel 1969, cioè in quel clima ribollente nel quale dominava il desiderio, la volontà o forse solo la velleità di rivoluzione, la ricerca di un sommovimento radicale che investiva non soltanto il sociale e il politico, i costumi e lo stile di vita, i diritti e le ideologie, ma anche e forse soprattutto la scuola e la famiglia. Gli anni, per intenderci, della nuova psichiatria e della nuova didattica, della nuova filosofia di vita e della nuova sessualità. Gli anni di Laing e di Watts, ma anche di Spitz e del suo ascoltatissimo discepolo Spock. Paradossalmente Raymond Merks, il ragazzo sbagliato di Russell, potrebbe addirittura essere il padre di William l´inconcludente e del suo gemello monozigotico (pur se caratterialmente e comportamentisticamente opposto) Clive; non fosse che il genitore di questi ultimi è un po´ più mosca cocchiera, più rispondente alla tipologia tutta america del radical chic alla Tom Wolfe, con qualche variante shabby chic alla «popolo di Seattle» che ne fa quasi un antesignano dell´etica grunge. Ottimo romanzo con qualche pagina un po´ scontata, Il ragazzo sbagliato (che segue l´originale struttura epistolare, tramite la quale l´io narrante comunica esperienze, sentimenti e sensazioni a un vagamente definito Morrissey, magari il fondatore del gruppo rock The Smiths o magari, chissà, uno del giro di Andy Warhol) si muove sui binari che tutti ormai crediamo di conoscere a memoria, narrando in circa 500 pagine quello che di solito gli amici si confidano nelle birrerie, nei pub o nelle camerette dei colleges, in un clima sottilmente omoerotico dove la droga e il sesso hanno un ruolo rilevante anche se a tratti repellente, secondo la logica del «Se hai cinque secondi di tempo, ti racconto la storia della mia vita». Il clima è quello classico dei beats e degli angry young men, degli hippies e dei figli dei fiori, con tanto di inserti di poesie «parlate» a cavallo tra il Whitman più scandaloso e il Ginzberg più sofferto e provocatorio. Salvo poi stemperarsi nel semifinale in una rivelatoria «lettera alla mamma» che, se proprio non sa di pentimento e redenzione, ha comunque il sapore del riconoscimento della sconfitta e dell´accettazione dei limiti; facendoci così presagire quali potrebbero essere alla fin fine i genitori del ragazzo inconcludente allorché, esaurito l´eroico furore adolescenziale, devono pur ammettere che il tempo passa e che col mondo occorre convivere. Diario di un inconcludente è invece un inno grandiosamente autoironico a un nuovo modo di pensare e di vivere legittimato da un consapevole lassismo parentale che vuol sottrarre la nuova generazione alle pastoie cui la precedente non ha saputo sfuggire, pur non rinunciando a campare di tisane e di kava, a vestirsi all´orientale o con jeans sgualciti che snobbano le etichette paninare. Cibo integrale, psicoterapia progressista, asili post-Montessori e scuole off, discussi in cucine straripanti di oggetti inutili e vissute come alveo primario della sacralità familiare. Discussioni peraltro dove i radicali brizzolati sono sempre in minoranza, giacché le decisioni si basano su un sistema maggioritario nel quale gli infanti possono sempre contare sul voto di cani di casa (che, a seconda del clima politico, dei flussi e dei riflussi del movimento e del trionfo del presidente di turno, Carter o Reagan che sia, si chiamano Fidel Castro o Mitterrand). Difficile dire se il romanzo di Anastas (una sequenza ininterrotta, esilarante e geniale di aforismi e di sentenze brevi) sia un capolavoro assoluto alla Giovane Holden. Certo è che merita di diventare il sacro testo dei genitori sessantottini e dei loro smidollati rampolli, se non altro per quello sfondo agrodolce che pungola il protagonista a scommettere sempre sulla propria disfatta, opponendo un´ansia di fallimento alla sua dichiarata incapacità di successo e alla sua frustrata esigenza di idealistica perfezione. Che possiamo attenderci d´altronde da chi dedica la prima parte delle proprie memorie a ricostruire, come nel Tristram Shandy di Sterne, la sua vita endouterina e i suoi primi mesi di poppate? Da uno che soffre cronicamente di allergie, tosse, malattie infantili, febbriciattole varie ed eruzioni cutanee, cui non lo sottrae alcun immaginabile vaccino; che non sa abbandonarsi a una «sana» masturbazione (pur patrocinata da genitori, pedagogisti e terapeuti di ogni genere), preferendole l´enuresi notturna; che s´accompagna alle preppies più sgraziate e bruttine, indietreggiando però di fronte a quegli infantili approcci sessuali che all´epoca venivano classificati come necking o petting; che non si distingue nel profitto scolastico e, in campo sportivo, fa perdere alla propria squadra partite già vinte? Anche in questo caso, naturalmente, ogni medaglia ha il suo rovescio. E qui il rovescio è costituito non tanto da Clive, il gemello che è in fondo il suo autentico alter ego, un fraterno opposto viscerale che è l´incarnazione delle sue potenzialità inespresse o rifiutate, un anomalo grembo estraneo e accogliente insieme, se non addirittura un insospettato rifugio onirico; quanto il finale, atteso e imprevisto assieme, che in un sarcastico e patetico «manifesto» trae le somme dell´intera vicenda, recuperando la scelta del fallimento e dell´inutilità civile come sublime etica di vita dove la scelta di farsi miserabile acquista una sua nobile qualità etica che può dar senso a un mondo privo di valori.
SCRITTORI EMERGENTI / BENJAMIN ANASTAS
Felicemente inconcludente Goffo, malaticcio, inibito. E fiero dei propri insuccessi. Arriva il Barney del prossimo autunno di Angiola Codacci-Pisanelli l’Espresso, 13 settembre 2002
Prestatemi dei soldi e non ve li restituirò mai. Innamoratevi di me e non vi noterò nemmeno. Risparmiate la vostra compassione per qualcuno che ne ha davvero bisogno, io sono già abbastanza impegnato a essere il peggior nemico di me stesso… A presentarsi così, con baldanzoso autolesionismo, è il protagonista e narratore del ‘Diario di un inconcludente’ dell’americano Benjamin Anastas, in uscita da Neri Pozza. Un anti-eroe che merita di diventare per gli under 40 quello che il Barney Panovsky di Mordechai Richler è stato l’anno scorso per i loro fratelli maggiori. Perché se Barney con la sua sboccata ironia corrode i diktat del politicamente corretto, il William di Anastas è un socialmente scorretto che con il suo racconto mina alle fondamenta i miti di realizzazione personale in cui è cresciuto chi è nato dagli anni Sessanta in poi. Se la vita è una corsa, corretela voi: io potrei, ma non voglio, sembra dire questo ‘giovane Holden dei nostri tempi’ (la definizione è del ‘Times’).
‘Il libro nasce da una frase delle ‘Memorie del sottosuolo’ di Dostoevskij: ‘Che cosa è meglio, una banale felicità o una sublime infelicità?”, racconta Anastas, trentatreenne bostoniano recentemente trapiantato in Toscana, nel Casentino. A far da amplificatore alla protesta di William è il confronto, continuo e implacabile (‘Non possono mica essere tutti e due eccezionali, no? Pensa a Kennedy e Johnson’, dicono i genitori) con il fratello gemello Clive: uno che ha successo in tutto, dalla prima poppata alla villa di lusso. Un espediente narrativo che può sembrare fin troppo facile: ‘Ma io penso che ognuno di noi abbia un gemello ideale che è la sua bella copia, con cui si confronta in continuazione’, spiega Anastas. Che poi ammette: ‘In realtà, io ho un gemello – una sorella, per fortuna – che è in effetti bravissima e bellissima ed è andata in un’università molto migliore della mia, e che merita tutto il meglio della vita’. Una Clive in gonnella, insomma: che come lui non riesce nemmeno a farsi odiare per quanto è buono è bravo. Al massimo William arriva a proclamare: ‘Rispetto il diritto di realizzazione di Clive proprio come difendo il mio di fallire miseramente’. Chi l’ha detto che nella vita bisogna essere felici, realizzati, disinibiti? Anastas scrive pagine esilaranti sull’angoscia di William per il nudismo dei genitori, sulla sua decisione di dormire con i guanti da hockey per resistere al loro invito a praticare una ‘masturbazione seria e responsabile’.
William cresce in un quartiere liberal di Washington, in una casa che era ‘un incrocio tra la villa di Playboy (nudismo e droghe leggere) e un villaggio della setta degli Shaker (pacifismo e legno grezzo)’. Ma dall’allattamento al seno al nido ‘a misura di bambino’, dall’impulso alla creatività personale al dialogo aperto con i genitori, il nostro bastian contrario rifiuta tutti i dogmi dei suoi genitori, pagando tutto sulla propria pelle, come quando pretende di fare il liceo in una scuola privata da romanzo dell’Ottocento, o finisce in un campus universitario che non merita neanche di essere nominato. Il risultato è una satira esilarante – ‘anche se affettuosa’, sottolinea l’autore’ – di quei liberal degli anni Settanta ‘che dopo Reagan sono definitivamente scomparsi’. Una satira che dopo aver conquistato i lettori americani (‘Non è stato un successo di cassetta, ma uno di quei libri che ci si consiglia tra amici’) è destinato a finire sugli schermi: ‘Una major voleva girare una commedia romantica centrata sugli anni dell’università e sul ‘triangolo’ con Faith, la fidanzata di Clive’, racconta Anastas: ‘Era un’idea talmente brutta che ero sicuro che sarebbero andati fino in fondo. Invece, per fortuna, ci hanno rinunciato. Ora un’altra produzione sta lavorando a una nuova sceneggiatura’. Il nostro ‘inconcludente di prima qualità’ supera una serie record di malattie dell’infanzia, passa indenne attraverso gli incontri con una psicoanalista, sopravvive alla ‘Prigione per ragazzi’ del liceo, arranca fino alla laurea, si lascia irretire da una setta californiana, casca nella trappola di un matrimonio col trucco, e non ha mai un momento di pentimento. Nemmeno quando ricorda che da piccolo aveva avuto in un test d’intelligenza punteggi più alti del fratello, o quando trova un momento di gloria universitaria diventando il cocco di un Super Barone di Lettere grazie a un progetto ‘Per una teoria dell’inconcludenza’ o quando Faith gli dice che ha una cosa in più rispetto a Clive: l’immaginazione. Anastas lo lascia, nell’ultima pagina, orgoglioso dei suoi fallimenti, pronto a riconoscere ‘la bellezza intrinseca di tutte le cose che mi sono perso’. ‘Ad alcuni critici non è piaciuto questo finale aperto’, dice Anastas, ‘ma io volevo proprio lasciare il mio protagonista in mezzo al guado’. Lo lascia però a un’età in cui molti ‘inconcludenti di successo’ non erano ancora arrivati a trovare la propria strada. Cosa diventerà William, da grande? ‘Forse finirebbe per diventare un po’ come i suoi genitori. Ma non lo saprete mai: quel ‘libro più consistente’ che William promette nelle ultime pagine del suo diario, naturalmente non uscirà mai’. Altrimenti che inconcludente sarebbe? 19.09.2002
Anastas, una vita da ‘vittima del sistema’
E’ in libreria Diario di un inconcludente, il primo libro tradotto in italiano di uno dei maggiori scrittori Usa di oggi. Il protagonista racconta la sua esistenza da bastian contrario nell’America post ’68. di Alex Dall’Asta Il Nuovo
MILANO – Sembra un gioco logico, come quelli dei test per l’ammissione alle grandi università americane, il plot di Diario di un inconcludente di Benjamin Anastas, uscito solo pochi giorni fa in Italia, primo lavoro dello scrittore ad approdare nel nostro Paese. Due gemelli monozigoti, perfettamente identici geneticamente, nati a pochi secondi l’uno dall’altro. Che non potrebbero essere più diversi. Clive è brillante, buono, generoso e intelligente. William è, fin dai primi giorni dal suo arrivo sulla Terra, un perdente, non impara a camminare, a parlare, è pigro e ipersensibile. E’ come se un essere umano fosse stato spezzato a metà, positività da una parte, negatività dall’altra. A William, il narratore del libro, è toccata la metà negativa della torta. Anastas, scrittore intelligente e consumato nella costruzione di impalcature narrative, racconta che lo spunto per il libro gli viene dall’essere lui stesso un gemello, anche se non monozigote. ‘Mi ha sempre affascinato dal punto di vista letterario il modo del tutto speciale in cui mi sento legato alla mia sorella gemella, e ho cercato di sfruttare le possibilità che il tema offriva per un romanzo’, spiega. E gli spunti affascinanti per il lettore attento non mancano. Fino a che punto, viene da chiedersi, siamo noi a decidere della nostra vita, e fino a dove sono i nostri geni, l’ambiente in cui nasciamo e ci formiamo, a determinare chi siamo?
La chiave di volta del libro è racchiusa nella parola americana underachiever (il titolo originale del libro è An Underachiever’s Diary). Un neologismo introdotto dagli psicologi durante il boom freudiano sul finire degli anni ’60, che in italiano non ha un corrispettivo vero e proprio. I traduttori italiani l’hanno resa con ‘inconcludente’, ma il termine non dà conto del significato prettamente scolastico che ha negli Usa. Underachiever , nella società americana dominata dalla competizione, è il bambino lento, che fa fatica ad apprendere. William non è per nulla stupido – ha lo stesso Q.I. del fratello, persino un po’ più alto – ma rifiuta, prima inconsciamente poi deliberatamente, di aderire al gioco. Dove voglia arrivare Anastas con la sua tragicommedia di un ‘inconcludente’ è chiaro: ‘La verità è che il sistema americano non vuole creare cittadini, ma consumatori. La sbandierata meritocrazia è tale sono fino a un certo punto: vince chi sta al passo con i ritmi del mercato, chi è lento e riflessivo rischia di venir tagliato fuori, fin da bambino’. Affascinante l’ironia con cui Anastas dipinge il background della storia, e la si apprezza anche nella traduzione italiana, ottima, di Anna Mioni. Cambridge, Massachussetts, il centro universitario numero uno degli Stati Uniti, dove William e Clive vengono alla luce a metà degli anni ’60, tutto sapere, scienza, intelligenza. Famiglia ‘alternativa’, padre femminile, madre maschile, progressisti, nudisti, insomma sessantottini. E con un debole per la psicanalisi. I bimbi William e Clive vanno dall’analista una volta a settimana, da piccoli vengono mandati ad un kindergarten sperimentale. Quello di cui non si rendono conto, questi genitori pur aperti e comprensivi, è fino a che punto l’analisi, i test d’intelligenza e il resto siano mezzi per pilotare il soggetto verso un’idea preconfezionata di ‘vita sana’, in realtà un’esistenza da shopper robotico con un unico obbiettivo: non fallire mai. William, il ‘perdente’, sente a pelle questa realtà, e fin dai primi giorni oppone ad essa il suo no, anche a costo di autodistruggersi. Il Times Literary Supplement l’ha definito ‘un Giovane Holden dei nostri tempi’. Il libro prende voce da quell’America del dissenso, di cui Salinger è una voce storica, e che ha più in comune con l’ambiente europeo che con la cultura dominante degli Stati Uniti. Anastas ha deciso – forse anche per quest’affinità con l’Europa – di trasferirsi in Toscana mentre lavora ad un nuovo libro: ‘La qualità della vita qui è molto più alta che negli Stati Uniti’, dice sorridendo. ‘In Italia sentirsi un underachiever è molto più difficile’. Benjamin Anastas, Diario di un inconcludente, Neri Pozza Editore, 173 pp., € 14 (20 SETTEMBRE 2002, ORE 12.00)
La rivoluzione inconcludente
da Donna di Repubblica del 12/10/2002 GENERAZIONE X Come sopravvivere a una educazione ‘democratica e libertaria’ anni ’70. Non facendo nulla: è la soluzione di William di Antonella Fiori Nessuno nasce ‘imparato’ e neppure uguale ad un altro. Siamo tutti ‘universi diversi’, anche se capita di essere vissuti per nove mesi in simbiosi e di venire alla luce a distanza di pochi minuti da un fratello con cui ci si dovrà confrontare per tutto il resto dell’esistenza. In Diario di un inconcludente Benjamin Anastas tenta il racconto ironico e scanzonato della vita tragica di William, bambino-ragazzino negli Anni ’70, e del suo rapporto, sin dall’inizio sbilanciatissimo, con il fratello gemello Clive. E della sua ribellione nei confronti del sistema ‘democratico e libertario’ applicato dai genitori ‘democratici e libertari’ su due figli nati ‘alla pari’, e su cui vengono sperimentati tutti i conformismi dell’epoca: dalla psicoanalisi forzata a partire dalla primissima infanzia (la citazione del manuale del dottor Spock fa lo stesso effetto dell’evocazione della radio da modernariato Brionvega), al nudismo anche questo forzato, fino al sesso libero, idem come sopra. La trovata del personaggio principale (classe ’66 nella finzione, mentre lo scrittore è di tre anni più giovane) è che sin da piccolissimo William proprio non si sente a suo agio in questo tipo di educazione standard americana, politicamente corretta, rispetto alla quale non riesce a escogitare nessun modello alternativo che non sia appunto l’inconcludenza. Il fatto di non realizzare – al contrario del fratello – le aspettative della società dei padri, rende spesso irresistibili le avventure di William, che qualche critico ha descritto come ‘un giovane Holden dei nostri tempi’. Ma, anziché ricalcare la beata grazia anni ’50 dell’adolescente Caulfield, dà, trent’anni dopo, il senso di una generazione molto più disperata.
Benjamin Anastas
Diario di un inconcludente (da Alice.it ‘Sono un uomo umile con tendenze autoritarie. Sono un santo con uno stile di vita da peccatore, o forse il contrario, un peccatore con aspirazioni alla santità non corrisposte, anzi no, aspettate: come potete vedere, ci sono ancora dentro fino al collo.’ Destinato fin dai primi minuti di vita ad essere la copia venuta male del proprio gemello, il protagonista (e narratore) racconta con ironia e con toni talvolta di grande comicità la propria dimensione di ‘inconcludente’. Incapace di reggere il confronto col fratello in tutte le possibili prestazioni infantili, meno simpatico, meno vivace, insomma sempre e costantemente ‘meno’, William non appare mai sofferente per questo destino e per il primato di Clive, anzi considera la sua una condizione di vita soddisfacente, quasi ottimale. Nasce da questo romanzo una filosofia che tende a rovesciare i luoghi comuni e i tradizionali modelli comportamentali. Forse non eccellere, non essere richiesti né ammirati, non suscitare aspettative in nessuno, permette di rimanersene tranquilli, di non essere vittime di nessuna nevrosi e soprattutto di essere perdenti senza recriminazioni o rancori. Per il protagonista poi la situazione è strana: avere di fronte a sé un altro se stesso, completamente diverso, anzi l’altra faccia di sé, è davvero una condizione eccezionale. In un certo senso la lettura del divertente romanzo è anche un’indicazione per tutti, infatti ognuno è quello che è, ma potrebbe pirandellianamente essere esattamente l’opposto, in quanto tutti siamo fatti di molteplici individui di cui uno ha la predominanza. Nel caso di questi gemelli lo sdoppiamento invece di essere interiore, è reale, realizzato cioè in due individui separati: si ha così una specie di dottor Jekyll il cui doppio non è malvagio, ma solo l’aspetto meno battagliero, meno intraprendente e meno simpatico di una personalità vincente. Così Anastas, attraverso il sorriso, indica come non ci sia un solo omologato modello umano, come le scelte di vita non siano mai sindacabili, ma che anche gli ‘inconcludenti’ possano liberamente e serenamente scegliere di esserlo. Le prime righe 1. I primi anni Ho cominciato alla grande. Primo di due gemelli monozigoti, ho anticipato di ben sette minuti l’ingresso nel mondo del mio riluttante fratello, senza contare il momento di sospensione dell’incredulità di lattante in sala parto. Quando lui, alla fine, è emerso, podalico, avvolto nel cordone ombelicale e tranquillo nel forcipe dell’ostetrica, io avevo già ricevuto il mio schiaffetto di benvenuto e mi ero fatto strada tra gli umani a forza di strilli, mentre mani esperte mi tagliavano il cordone, mi pulivano e avvolgevano nelle fasce. Avevo un nome, William, scelto da mio padre, che da piccolo avrebbe tanto voluto chiamarsi così. Nella sarabanda degli anni a venire i miei genitori avrebbero preso in considerazione l’idea di cambiarmi nome in Guillaume in onore del Maggio francese ( era il 1968), e più avanti, dopo un viaggio nelle campagne messicane a caccia di rivoluzionari armati – dal quale tornarono con un perfetto mobilio da salotto – , fantasticarono di chiamarmi Guillermo. Ma al tempo in cui venimmo alla luce i miei erano ancora nella fase anglofila, e per mio fratello scelsero un nome adeguato, Clive. Che poi rischiò di diventare Claude, e poi Chico: almeno erano coerenti! A quei tempi, nei loro sogni più ardenti, l’universo era regolato dalla corte suprema del giudice progressista Warren, e i miei erano convinti che ai loro figli, come a tutti, sarebbero state garantite le stesse opportunità di crescere e aver successo nella vita e che, per quanto sprovveduti o nullatenenti, avremmo sempre avuto voce in capitolo negli affari di famiglia. E crescendo non avremmo dovuto sopportare soprannomi sdolcinati e nemmeno portare vestiti uguali. I miei ne erano convinti, saremmo stati dei normali fratelli, solo un po’ più uniti del solito, e il fatto di essere gemelli non avrebbe limitato il nostro sviluppo né ci avrebbe fornito ingiuste facilitazioni rispetto alla maggioranza silenziosa di chi non ha un gemello. Si compiacevano molto, tuttavia, di una frase tratta dal libro del dottor Spock, Il bambino: come si cura e come si alleva, che mia madre quando era incinta aveva sottolineato sulla sua consunta edizione economica: ‘Ai gemelli… capita di sviluppare una personalità particolarmente forte proprio grazie al fatto di essere gemelli: si rendono presto indipendenti dalla sorveglianza dei genitori, hanno capacità non comuni di gioco cooperativo, grande lealtà e generosità reciproca’. In parole povere, riponevano grandi speranze in noi. © 2002 Neri Pozza Editore Di Grazia Casagrande e Giulia Mozzato
DIARIO DI UN INCONCLUDENTE, BENJAMIN ANASTAS
L’intervista all’autore Elogio del fallimento
‘SONO ORGOGLIOSO DI AVER DELUSO QUASI CHIUNQUE’, DICE IL PROTAGONISTA DI QUESTO PRIMO ROMANZO DELLO SCRITTORE AMERICANO BENJAMIN ANASTAS. Ironia della sorte, si chiama William e viene subito in mente il re William il Conquistatore o il poeta William Shakespeare. Niente di grandioso in questo William, o forse sì, c’ è qualcosa di grandioso nella costanza e determinatezza con cui persegue la sua carriera di ‘inconcludente’, di chi non riesce mai a conseguire un risultato positivo. Eppure era partito con sette minuti di vantaggio nascendo prima del gemello Clive. Poi era rimasto subito indietro, dalla crescita fisica allo sviluppo motorio, dagli anni dell’asilo fino ai clamorosi insuccessi all’università, anche se nei test eseguiti aveva riportato un punteggio addirittura superiore a quello del fratello. Un disastro anche la sua vita sentimentale. Una serie di lavori squalificanti fino a finire in una comune da cui viene poi ‘liberato’ dal fratello. C’è qualcosa di accattivante in questo personaggio, figura di un antieroe che risulta poi essere un eroe ribelle che rifiuta di adeguarsi ai modelli della società americana. Figlio di genitori politicizzati e moderni, della generazione che credeva nella parità dei compiti in casa, nei metodi di educazione antiautoritaria, nella liberazione dai tabù sessuali, William non solo rifiuta tutte le possibilità che gli vengono offerte, ma va volontariamente controcorrente, facendo sempre delle scelte opposte a quelle del gemello, e forse è una maniera per attirare l’attenzione su di sé. In fin dei conti basta una stella di prima grandezza in famiglia. Meglio rivaleggiare nel senso contrario ed è poi un trionfo ugualmente, se riesce a scrivere una ‘Teoria dell’Inconcludenza’ in cui afferma che l’ arma migliore dell’ inconcludente è la negatività: ‘invece di dire sì alla vita, dice ‘no grazie’.’ E William dice no al mito del successo, ai compromessi, e non è facile vivendo a Boston e appartenendo ad una certo ambiente. Un eroe negativo, William, che acquista valore nel ‘non’ raggiungere i risultati del gemello Clive. Eppure non riusciamo a provare antipatia per Clive, perché dopotutto William e Clive sono come due aspetti diversi della stessa persona e la positività di Clive investe anche i suoi rapporti con il fratello. E’ come se la personalità di Clive fosse senza ombre, di quella perfezione assoluta in cui però sentiamo la mancanza della dimensione umana del fallimento. Quella che possiede il suo gemello, per l’appunto. Un libro beffardo e ironico da consigliarsi a chi si sente emarginato e inadeguato, ma anche a chi, senza le doti di generosità di Clive, mira ad un successo senza scrupoli. E non sa che cosa si perde. Marilia Piccone 20-09-2002 StradaNove
Segnalazione su RAILIBRO
Articolo su GOLEM
CINQUE SENSI Libri – Diario di un inconcludente di Benjamin Anastas
di ANNA FOLLI Il libro Il Times lo ha definito ‘il giovane Holden dei nostri tempi’. E in effetti il protagonista di Diario di un inconcludente è talmente vero, coinvolgente, tenero e imbranato che, proprio come il protagonista di Salinger, fa scattare immediatamente il meccanismo dell’identificazione. William è un vero antieroe, un perfetto perdente in ogni settore della vita. ‘Di fronte alla possibilità di dar battaglia – teorizza – l’inconcludente si farà sconfiggere piuttosto che spargere sangue nell’agone moderno. Egli è privo di forze e deliberatamente debole’. In una famiglia che è un incrocio ‘tra la villa di Playboy (nudismo e droghe leggere) e un villaggio della setta degli Shaker (pacifismo e legno grezzo)’, William rifiuta tutti i modelli proposti dai genitori progressisti e politically correct. Con il gemello Clive, che passa da un successo all’altro, il confronto è inevitabile e schiacciante. Clive succhia meglio il latte, piange meglio, cammina, parla, gioca meglio. E poi naturalmente studia e lavora meglio. William, invece, vuole semplicemente essere se stesso. Non si accontenta della mediocrità e sceglie un personalissimo modo di emergere: il suo è un vero e proprio record di fallimenti. Ci può anche essere un modo sublime di perdere, nella vita. Ed è proprio quello scelto dal protagonista di questo romanzo. L’obiettivo di Anastas è ovviamente ironizzare sulla società americana, decisa ad apparire democratica e liberale, ma in realtà interessata soltanto al successo e alla ricchezza. Ma in Diario di un inconcludente c’è di più. Qualcosa che ha a che fare con l’onestà intellettuale. William è fiero della sua inconcludenza. Definisce la sua vita ‘una sperimentazione continua senza principi guida o conferme, una specie di lavoro in corso solitario, un po’ come pregare senza un dio che ti ascolti’. Ma è altrettanto pronto a riconoscere ‘la bellezza intrinseca di tutte le cose che mi sono perso’. È dunque una persona libera, più del fratello Clive, perfetto e realizzato. Più dei genitori, schiavi delle logiche postsessantottine. E il finale, volutamente aperto, lascia spazio all’immaginazione. Forse, in un futuro, William sarà anche capace di ‘concludere’. Hanno scritto di lui ‘Un antieroe che merita di diventare per gli under 40 quello che il Barney Panovsky di Mordechai Richler è stato l’anno scorso per i loro fratelli maggiori. Perché se Barney con la sua sboccata ironia corrode i diktat del politicamente corretto, il William di Anastas è un socialmente scorretto che con il suo racconto mina alle fondamenta i miti di realizzazione personale in cui è cresciuto chi è nato dagli anni Sessanta in poi.’ Angiola Codacci Pisanelli, ‘L’Espresso’ ‘A rischio di portare sfortuna a un promettente giovane talento, bisogna dire che se il prossimo libro di Benjamin Anastas mantiene lo spirito, la maturità e lo stile di questo romanzo, l’America ha guadagnato un nuovo, brillante umorista’. David Livingstone, ‘Detroit Free Press’ ‘Meno romanzo che meditazione, la grande forza di questo libro è nella creazione del personaggio di William che sa condurre attraverso la sua infanzia, adolescenza e inizio di età adulta, senza mai venire meno alla sua comicità.’ Michael Frank, ‘Los Angeles Times’ ‘Una satira così raffinata e divertente è rara in qualsiasi scrittore, ma in un romanzo d’esordio è addirittura straordinaria.’ Matthew Stadler, ‘The Stranger’ ‘William, il primo a nascere di due gemelli, ha deciso di spendere il resto della sua vita a impegnarsi per non essere mai più primo in qualche cosa. Nel corso del divertente, bel romanzo di debutto di Benjamin Anastas, William fornirà ogni dettaglio della sua strategia per fallire’ James Polk, ‘Times Book Review’ da VICENZA.COM
In un giorno intorno alla metà degli anni Sessanta, William viene alla luce anticipando di ben sette minuti Clive, il riluttante gemellino, che emerge dal buio del grembo materno quando lui è già pulito e avvolto nelle fasce, e ha già ricevuto da un pezzo il suo schiaffetto di benvenuto nel mondo. William, però, non avrà nemmeno il tempo di rallegrarsi della sua primogenitura e del suo brillante esordio nel mondo. Il destino crudele ha già stabilito, infatti, che l’istante della sua nascita sarà l’unico in cui primeggerà in qualche cosa nel corso della sua vita. Di lì a qualche giorno, Clive succhierà beato al seno della madre, mentre William afferrerà il capezzolo con le gengive, lo sputerà fuori, riproverà invano, diventerà rosso di rabbia e urlerà. A tre settimane, Clive avrà imparato a succhiarsi il pollice quando avrà fame, William invece succhierà il suo cuscino preferito con gravi rischi di soffocamento. Quando aprirà bocca a pochi mesi, Clive suonerà scale di vocali e consonanti, come fosse un valente musicista; William risponderà con monosillabi lunghi e sbrodolati. La copertina del libro A scuola, Clive riceverà lodi a tutto spiano e supererà agevolmente un ostacolo dietro l’altro. William invece vi inciamperà puntualmente, e si mostrerà così impacciato e goffo da essere preso per deficiente. Clive incanterà Faith, una bambina di una bellezza mozzafiato, William invece attirerà Dorothea, una bimba goffa e sgraziata. Clive sarà ammesso a Harvard. William sarà costretto a frequentare un triste college di una tetra cittadina dello stato di New York. Un destino crudele, per William, vero? Ebbene no…. Questo romanzo è il manifesto di William, l’orgogliosa rivendicazione della sua inconcludenza. Una sublime teoria dell’inconcludenza e un appello agli inconcludenti di tutto il mondo perché si amino e dicano in faccia a tutti con fierezza: ‘Prestatemi dei soldi e non ve li restituirò mai. Innamoratevi di me e non vi noterò nemmeno. Risparmiate la vostra compassione per qualcuno che ne ha davvero bisogno, io sono già abbastanza impegnato a cercare di essere il peggiore nemico di me stesso.’ Benjamin Anastas è nato nel 1969 negli Stati Uniti. Oltre a Diario di un inconcludente, che ha ottenuto un grande successo di critica e di pubblico negli Stati Uniti, ha scritto The Faithful Narrative of a Pastor’s Disappearance. Ha vissuto a Brooklyn, New York, e vive ora in Italia.
Diario di un inconcludente (An Underachevier’s Diary)
[da lettera.com William viene al mondo anticipando il gemello Clive di ben sette minuti. Eppure, questo promettente esordio di primogenito rimane il suo unico primato e vantaggio nei confronti del fratello con cui si confronta, affettuosamente ed ironicamente, per tutto il resto del romanzo (e della vita). Il fratello, fin dai giorni immediatamente successivi alla nascita dimostra un innata quanto generalizzata e diffusa propensione ad eccellere in qualsivoglia prestazione: da quelle infantili di appagato poppante e precoce sillabatore di vocali e consonanti, ai primi e facili successi scolastici e sentimentali (la bellissima Faith), all’ammissione ad Harvard (e ci mancherebbe!), via via sino alla completa realizzazione delle aspettative dei genitori, e di quelle personali. Un destino beffardo ed inaccettabile? Nient’affatto! Lo scanzonato William non è per nulla sofferente, o insofferente, dei successi del gemello Clive. Al contrario, è assolutamente orgoglioso della propria, sublime, inclinazione all’inconcludenza: unica alternativa per un ‘ragazzo degli anni 70’ al modello di vita standardizzato liberal e progressista dell’era post-reaganiana. Neri Pozza
Diario di un inconcludente: anatomia dell’inconcludenza
Ho cominciato alla grande. Primo di due gemelli monozigoti, ho anticipato di ben sette minuti l’ingresso nel mondo del mio riluttante fratello, senza contare il momento di sospensione dell’incredulità di lattante in sala parto. Quando alla fine è emerso, podalico, avvolto nel cordone ombelicale e tranquillo nel forcipe dell’ostetrica, io avevo già ricevuto il mio schiaffetto di benvenuto e mi ero fatto strada tra gli umani a forza di strilli, mentre mani esperte tagliavano il cordone, mi pulivano e avvolgevano nelle fasce. ‘Prestatemi dei soldi e non ve li restituirò mai. Innamoratevi di me e non vi noterò nemmeno.Risparmiate ogni compassione per qualcuno che ne ha veramente bisogno: io sono già abbastanza impegnato a cercare d’essere il migliore nemico di me stesso’ ‘L’Inconcludente’, come William, antieroe di Diario, è stato ed è tuttora un’inesauribile fonte di ispirazione letteraria: da Oblomov di Goncharov, star assoluta dell’inazione contemplativa, al salingeriano Holden, fino ai più recenti esempi: Grady Tripp di Wonder Boy di Chabon, ispirato all’inconcludenza di scrittore di Chuck Kinder; e Will, nullafacente trentaseienne di About a boy di Hornby. Ed abbiamo motivi sufficienti per pensare che lo sarà sempre di più, da che l’imperativo categorico delle società occidentali del ‘successo ad ogni costo’ ci obbliga ad una insensata ricerca della prestazione vincente, unico passe-partout per una felicità di pronto consumo. Chi non si omologa, chi si scopre incapace di conformarsi all’esigenza di ignorare l’etica dell’esistenza per surrogarla con l’estetica di una vita levigata dall’assenza di dubbi ed incertezze è destinato a rassegnarsi ad essere tagliato fuori: agli occhi del mondo è un fallito, incapace a raggiungere la serie di mete obbligate che la società impone. Eppure, visto che di inconcludenti il mondo è pieno, perchè non ribaltare i termini della questione e teorizzare, all’opposto, un progetto di vita ‘senza scopi’, una ribellione al diktat della ‘realizzazione personale’, che invece di dire sì alla vita, risponda: ‘no grazie’? L’obiettivo di Anastas è proprio questo: dimostrare, ironizzando sulla società americana, quanto l’inconcludenza sia l’unica vera forma di libertà: dai compromessi e dalla omologazione di massa. Quanto questa libertà costituisca, paradossalmente, una scelta vincente di profonda ribellione all’imposizione dell’undicesimo comandamento dell’ ‘aver successo-essere felici’, una presa di coscienza critica nei confronti di un sistema e di un’epoca ossessionati da obiettivi e prestazioni nevroticamente rivolti alla conquista di una felicità coatta e preconfezionata. E che ci rimanda nostalgicamente al MacHugh dell’Ulisse di Joyce: ‘Fummo sempre fedeli alle cause perse. Il successo per noi è la morte dell’intelletto e della fantasia.’
J. K.
21/04/2003 – I GEMELLI MALASSORTITI: IL DIARIO DI UN INCONCLUDENTE
Matteo ‘Ferrato’ Bordone
Vincente contro perdente. Ecco una contrapposizione idiota che andrebbe cancellata dall’etica planetaria. Non solo andrebbe cancellata dalla società statunitense, che in alcune situazioni e classi sociali vive soffocata da questa maledizione del giudizio che pende come una spada di Damocle, ma anche dalle nostre prospettive, o da quelle di paesi molto competitivi come il Giappone. Essere arrivati o essere degli inconcludenti. Farcela o non farcela. Siccome la vita non funziona così, non funziona su un solo piano, si finisce poi per preferire il manager che ha disimparato ad amare, all’impiegato felice. Perché quando si riduce tutto a un giudizio, ci si attacca all’unica cosa veramente misurabile, cioè i soldi. Sembra un discorso demagogico, magari lo è anche, ma ci sono argomenti su cui non ci sono incredibili genialità da dire. Benjamin Anastas ha affrontato il problema inventando un romanzo il cui protagonista è un perdente, ma invece di essere schiacciato da questa nomea spietata, ne è fiero. E a voler ben vedere non è una nomea, una diceria, è un dato di fatto. William è un inconcludente. La gente che gli sta accanto si aspetta da lui delle cose che lui non riesce a dare loro. Le aspettative del prossimo nei suoi confronti non vengono mai soddisfatte. Ad aggravare questa situazione c’è il fatto che William nella sua vita è stato giudicato singolarmente, per quello che ha fatto, solo per sette minuti, subito dopo essere uscito dal ventre della madre. Perché sette minuti dopo è uscito il suo fratello gemello, il perfettino, quello che da allora è sempre stato per tutti l’esempio di efficienza, il vincente, quello capace di riuscire in tutto. William è un vero antieroe, un pioniere della sfiga, un ribelle ironico che scopre che la sua ricchezza sta nel non essere capace. E tutto ha preso forma a scuola, molto molto presto. Sentiamo un estratto del DIARIO DI UN INCONCLUDENTE di Benjamin Anastas. BENJAMIN ANASTAS DIARIO DI UN INCONCLUDENTE NERI POZZA Quello che avete appena sentito era un estratto sulla primissima educazione del protagonista di DIARIO DI UN INCONCLUDENTE di Benjamin Anastas, tradotto da Anna Mioni e in vendita al prezzo di 14€ per le Edizioni Neri Pozza. Uno che con l’aria da perdente, da sfigatello, da inconcludente, ci campa da anni giocando alla modestia. Si chiama BECK e sentiamo volentieri un pezzo dal suo ultimo disco, acustico, di qualche mese fa. L’album si intitola SEA CHANGE, è prodotto da Nigel Godrich e infatti suona come un’astronave carica d’amore e malinconia. Questa è LOST CAUSE.
La ricetta di Anastas per essere inconcludenti
L’Arena – il giornale di Verona
Milano . Malaticcio, privo di forza di volontà, misantropo, ermetico, infelice, armato di negatività: è tutto questo William, gemello monozigoto del brillante Clive, l’anti-eroe per eccellenza che, in « Diario di un inconcludent e» (ed izioni Neri Pozza) di Benjamin Anastas, dedica tutta la sua vita «a cercare di essere il peggiore nemico di se stesso». «Anch’io ho una sorella gemella – ha raccontato ieri a Milano l’autore del romanzo, che è uscito in Italia il 13 settembre scorso – e ho sempre desiderato scrivere del rapporto speciale, che intercorre con un gemello. Sono partito dal grembo materno, perchè è il posto dove penso succedano cose che sono poi fondamentali per la vita futura». Tutti noi, ha spiegato lo scrittore, abbiamo un gemello ideale, il nostro Io migliore, con il quale ci misuriamo: «Ma avere un gemello vero – ha detto – è tutt’altra cosa: c’è un linguaggio speciale, inventato da noi, che nemmeno i genitori possono comprendere». Succede anche tra William e Clive, a cominciare dai primi mesi di vita, quando il primo non riesce a pronunciare la parola « nann a» , ma dice solo un « nah » , e il secondo, per incoraggiarlo, si adegua e gli dà la buonanotte con un « nah » . « La gentilezza di Clive – ha ammesso lo scrittore che, rispetto a sua sorella Rhea, 33 anni, storica dell’arte, si è sempre sentito il meno brillante – è la sua migliore qualità: tutta la vita cercherà di aiutare il suo gemello inconcludente». Durante le sue brutte esperienze scolastiche, i suoi frustranti rapporti sessuali e la sua pericolosa adesione a una setta strampalata. Ma è William, che più interessa ad Anastas, «l’anti-eroe che, con la sua inconcludenza, si ribella contro i valori acclamati dalla società consumistica americana, tutta votata alla felicità». «C’è tutta una letteratura americana dell’anti-eroe – ha spiegato Anastas – a cominciare da Melville per finire con Dennis Johnson. È l’unico modo per dar voce al proprio dissenso verso la società». Con gli attentati dell’11 settembre 2001, la società americana è cambiata: «Non ci si obbliga più ad essere felici ad ogni costo – ha detto lo scrittore, che per lunghi anni ha vissuto a New York – ma il senso di colpa e di vergogna non è ancora abbastanza sentito. Pensare a ciò che è successo mi fa stringere ancora il cuore e mi vengono le lacrime agli occhi, anche se io non ho perso nessuno». E riflettendo sul futuro, Anastas separa nettamente quello privato da quello della nazione: da qualche mese si è trasferito in Toscana, per poter scrivere in pace un romanzo storico ambientato nell’Austria del ’37 e «scriverò anche se il mio Paese dovesse andare in guerra contro l’Iraq». Una prospettiva «frustrante – ha ammesso – per le conseguenze mondiali che potrebbe avere e che pochissimi americani vogliono. Bush, che non è neanche stato eletto, rappresenta il passato: sembra che sia rimasto ibernato per anni e anni».
Diario di un inconcludente – Imperfetti si nasce
di Isabella Marchiolo
Dura la vita dei gemelli. Soprattutto se la coppia di feti monozigoti, una volta venuta alla luce, si rivela decisamente male assortita e uno dei gemelli, sin dalla prima poppata, è destinato a primeggiare in tutto, mentre l’altro deve accontentarsi di sistematici fallimenti. Una vita d’inferno per il gemello ‘sfigato’ William, che, però, decide che i panni del perdente sono tutt’altro che scomodi. La surreale teoria sarà meticolosamente esposta nel ‘Diario di un inconcludente’, ultimo lavoro di Benjamin Anastas, uno degli autori più graffiante della nuova guardia americana. Anche stavolta, infatti, il giovane scrittore ha in serbo una buona dose di satira per la società statunitense, e a finire nel mirino è il sistema educativo, che marchierà dalla nascita il protagonista del romanzo con il pesante bollo dell’ ‘underachiever’ (la parola del titolo originale), ovvero intellettivamente lento di comprendonio e con problemi di apprendimento. In realtà, William ha ottenuto un Q.I. leggermente superiore a quello del gemello perfetto Clive, ed è riuscito persino a nascere un secondo prima del fratello, ma tragicomiche allergie e difficoltà post-natali lo tradiscono segnando ineluttabilmente la sua esistenza agli occhi dei genitori hippy e progressivi. Inizia, così, per il futuro inconcludente, una lunga serie di traguardi falliti, dalla titanica impresa del linguaggio, alla costituzione gracile, alla personalità piatta, ai quali si contrappongono i successi di Clive. Un fatale dualismo che continuerà nell’adolescenza e nell’età adulta dei due fratelli, vedendo il gemello ‘vincente’ conquistare una luminosa carriera professionale e relazioni sentimentali stabili con ragazze altrettanto perfette, e il povero William collezionare studi universitari di second’ordine, fidanzate alcolizzate o derelitte che puntualmente lo raggirano, depressioni etiliche e persino l’adesione ad una setta composta da altri rifiuti della società. Nel corso delle sue peripezie, obiettivo costante di William è quello di deludere le aspettative di tutti e di rifuggire la compassione per i suoi fallimenti dichiarandosi il peggior nemico di se stesso. Quello di Anastas è un feroce attacco alla corsa alla competizione che domina la società Usa, che nel romanzo trova una riuscita parodia nei genitori di William e Clive. Come evitare l’inadeguatezza, si chiede l’autore, se si è un bambino ipersensibile e mamma e papà praticano il nudismo in giardino, incitano ad una sana masturbazione, seguono alla lettera la pedagogia di Anna Freud, chiamano i cani Castro e Mitterand ed entrano in crisi per la puntuale sconfitta del proprio candidato presidenziale democratico? Persino non avere particolari problemi esistenziali (i due gemellini iniziano precocemente a frequentare l’analista) diventa una tara, e William si accorge che la propria inconcludenza non è altro che l’incapacità di ‘fare qualcosa di radicalmente nuovo’, fosse anche in un tranquillo appuntamento galante con una coetanea. La sua vita è come una preghiera ad un Dio che non ascolta, indifferente a ‘un vagabondo senza nome tra i suoi figli battezzati’ Con toni tragicomici e qualche tocco di humour, Anastas racconta infanzia, adolescenza e maturità del suo antieroe, che giunge a formulare una vera e propria ‘teoria dell’inconcludenza’. William fornisce un preciso identikit dell’inconcludente: deliberatamente debole e senza forze, solitario, abbandonato da Dio. In metafora, un Martini con l’ermetismo al posto del vermouth e l’infelicità come gin. Una fiera dichiarazione di orgoglio inconcludente, contro cui si infrangono gli inutili tentativi del gemello perfetto, Clive, che, anche William lo riconosce, è davvero buono, amabile e gentile d’animo quanto lui è scontroso e intrattabile. In sostanza, due fratelli sono entrambi vittime del sistema e si vogliono realmente bene, tanto da non poter stare troppo tempo senza contatti reciproci: William non riesce ad odiare Clive, e quest’ultimo non si è mai sentito superiore a William. Un rapporto simbiotico che si tramanda dalla convivenza nell’utero materno e che Anastas conosce bene, avendo l’autore stesso una gemella, anche se non monozigote. Quale partito scegliere, dunque? Per chi volesse intraprendere il difficile cammino dell’inconcludenza, William ha una controindicazione, quella di riconoscere l’intrinseca bellezza delle cose che ha perso per onorare il suo manifesto rinunciatario: l’amore, una famiglia, l’amicizia. Per converso, attorno all’inconcludente ruota un universo umano apparentemente vincente e altrettanto malinconico e stressato dai suoi obiettivi mancati. E rivela la sua inconfutabile verità: siamo tutti anime imperfette.