Dalla rivista La nota del traduttore, saggio sulla traduzione di La vita fuori tempo di Ivan Dolinar di Josip Novakovich / editore: ISBN, 2005
La vita fuori tempo di Ivan Dolinar è un romanzo picaresco; il protagonista riassume in sé tutta la storia della Jugoslavia del dopoguerra, quasi ne fosse la personificazione. È una continua satira del carattere nazionale slavo e dei suoi difetti, che in alcuni punti assume il tono di una farsa con sfumature tragiche. Lo stile oscilla in continuazione tra l’orripilante e il satirico, oltrepassando i confini del genere; non è privo di rare virate poetiche, ma spesso ricco di particolari grandguignoleschi.
Ivan nasce in Croazia nel 1948 e cresce patriota negli anni di Tito; interrompe gli studi di medicina quando due poliziotti fraintendono una battuta sul suo desiderio di uccidere Tito e lo spediscono al confino. Lì Ivan incontra Tito in persona, in visita al campo di prigionia con Indira Gandhi. Al rientro dal campo, per via della condanna, può riprendere gli studi solo nella facoltà di filosofia, ma non li conclude; per vivere svolge i lavori più disparati.
Anni dopo scoppia la guerra civile e Ivan viene arruolato a forza dai serbi per combattere i suoi compatrioti croati. Poi diserta, è catturato dai croati e costretto a combattere i serbi finché il suo reggimento non si arrende all’esercito che lo aveva arruolato all’inizio. Sopravvive per miracolo a una marcia forzata, alla fine della quale lo attende la libertà e la costruzione di una famiglia nel suo paese natale, di cui Ivan descrive con sarcasmo tutti i cambiamenti provocati dalla guerra e dagli eventi successivi, fino all’epilogo della sua morte.
Insomma, una vita a cui l’autore fa sfiorare tutte le vicende più importanti del suo paese.
Eppure Ivan è quasi un anti-eroe, pieno di difetti; ma queste debolezze finiscono per renderlo più umano e accattivargli la simpatia del lettore.
Siamo di fronte a un autore che scrive in una lingua acquisita in età adulta: Josip Novakovich ha lasciato la Croazia a vent’anni per frequentare il college negli Stati Uniti.
L’esotismo del testo, però, non si regge su citazioni slave: persino le canzoni sono in inglese nel testo originale. La sensazione è che l’autore sia pienamente assimilato alla cultura anglofona; e che forse per questo riesca a gettare uno sguardo così distaccato e sarcastico sulla patria natia.
L’impronta più marcata del suo essere culturalmente “altro”, quindi, non viene tanto dalla lingua (chiara, diretta, concisa; priva di tracce evidenti del croato), quanto dallo spirito: Novakovich foggia l’inglese intorno all’esigenza di esprimere una Weltanschauung tipicamente slava. Chi ha familiarità con quei popoli riconoscerà subito tratti caratteristici come l’umorismo nero e il sarcasmo costante: i dialoghi, fatti di surreali botta e risposta, ne sono un esempio perfetto.
L’ironia ha quell’amarezza a volte necessaria per difendersi dalla tragedia: nel libro non mancano scorci sulle atrocità della guerra civile, sempre descritti con dovizia di particolari. È un aspetto di quella presenza costante del grottesco e del macabro a cui ci ha già abituati Emir Kusturica nei suoi film: una specie di realismo magico in salsa slava in cui i confini tra vivi e morti sono talmente labili che il finale del romanzo segue il funerale di Ivan, che in realtà non è morto (o sì?), con i suoi stessi occhi dall’interno della bara.
Una nota di colore per i lettori di NdT: tra le varie professioni di Ivan, per un breve periodo, c’è anche quella di traduttore di testi religiosi dal tedesco. Un traduttore un po’ sui generis, che ogni tanto interrompe il lavoro su quei libri “edificanti” per andare a vedere film porno soft italiani, e che non è certo un modello di fedeltà: Anche se Ivan non riusciva ad afferrare il significato della lingua di partenza, ciò non interferiva con la produzione di un testo che suonasse piuttosto bene nella lingua d’arrivo. (…) Gli riusciva facile improvvisare un intero paragrafo anche solo leggendo la prima frase. (…) Passava almeno dodici minuti su tredici a guardare fuori dalla finestra le colombe (o meglio, i piccioni) sul tetto, lasciando che fosse il suo intuito a lavorare per lui, e quindi che il testo venisse tradotto in modo olistico.
Infine, questo libro è anche un’occasione preziosa per scoprire di più su un paese che confina con l’Italia e su una guerra che si è svolta a poca distanza da casa nostra.
Anna Mioni